Scuola digitale sì. Ma forse no
Riflessioni su una scuola sempre più in bilico tra divieti e innovazione
Era giugno del 2025 quando il Ministero dell’Istruzione e del Merito emana la circolare 3392 che introduce il divieto di utilizzo del telefono cellulare anche nelle scuole superiori durante l’attività didattica e, più in generale, per l’intero orario scolastico. Ricreazione e gite scolastiche incluse, quindi.
Il divieto vale anche per fini didattici, salvo eccezioni: alunni con disabilità o DSA oppure nei casi in cui lo smartphone sia “strettamente funzionale” all’attività didattica. Ovvero se proprio non potete fare a meno del digitale e pensate possa favorire anche l’apprendimento (e magari riuscite a dimostrarlo) allora potete riesumare gli smartphone dalle cassette di metallo in cui saranno stati chiusi a chiave all’ingresso in aula.
Il messaggio sembra chiaro: lo smartphone e il digitale in generale è nocivo un po’ per tutte le cose a partire dall’apprendimento. Una misura che, nelle parole del Ministero, appare “improcrastinabile” alla luce degli effetti negativi ormai “ampiamente dimostrati dalla ricerca scientifica” sull’uso eccessivo o non corretto dello smartphone, in particolare tra gli adolescenti.
Ma i dati cosa dicono?
La circolare cita una serie di ricerche internazionali e nazionali. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, oltre il 25% degli adolescenti italiani manifesta un uso problematico dello smartphone, con effetti su sonno, concentrazione, relazioni e rendimento scolastico. Anche l’OCSE, nel rapporto “From decline to revival: Policies to unlock human capital and productivity” del 2024, evidenzia una correlazione tra uso intensivo dei social media e calo delle performance scolastiche, suggerendo la necessità di politiche per un uso più consapevole del digitale.
Infine, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel documento “A focus on adolescent social media use and gaming in Europe, central Asia and Canada” del 2024 segnala un incremento di dipendenze comportamentali legate all’incapacità di controllare l’uso dei dispositivi, con sintomi simili a quelli da astinenza.
Dati che potrebbero ben accompagnarsi con quelli contenuti nel discusso libro La generazione ansiosa di Jonathan Haidt.
Ma quando si utilizzano dati a supporto di una decisione, di norma si può controbattere con altri dati che mostrano una falla nei dati citati o nella decisione presa (o nel nesso di causalità diretta tra due fenomeni che potrebbe trasformarsi in nesso di casualità). È il caso, per esempio, di un altro studio, dell’University of Birmingham che, mettendo a raffronto studenti di scuole con politiche restrittive e altri di scuole con il digitale a portata di mano, evidenzia che non c’è differenza significativa nei risultati scolastici tra scuole con e senza divieto. Non c’è alcuna differenza nel benessere mentale, nel sonno o nell’attività fisica, ma solo una leggera riduzione (circa 40 minuti) dell’uso del telefono durante la giornata scolastica, senza variazioni sostanziali nel tempo complessivo di utilizzo. Tanto da portare gli autori della ricerca a una conclusione:
The paper shows that restrictive policies on recreational phone use in schools do not lead to better outcomes among students, but that addressing overall phone use should be a priority for improving health and wellbeing among adolescents.
Insomma, il problema non è tanto dove si usa lo smartphone, ma come e perché lo si usa.
Niente smartphone, ma sì all’Intelligenza Artificiale
Per uno spettatore esterno alla scuola potrebbe sembrare quasi una contraddizione che, a fronte di un divieto che dalla circolare fa intuire come possano far meglio le poesie imparate a memoria che non un’attività di gioco didattico con lo smartphone, vengano pubblicate poco dopo le linee di indirizzo per l’Intelligenza Artificiale a scuola. Eppure, visto che tutti ne parlano, anche il MIM promuove tramite il documento un’IA antropocentrica (con “’uomo” al centro che risuona in diverse pagine), centrata su studenti e docenti. Una Intelligenza Artificiale, insomma, che possa migliorare l’apprendimento e favorire l’inclusione, nonché ottimizzare i processi amministrativi e garantire equità, trasparenza e tutela dei dati.
Restano delle domande
Seppur a bassa voce, pacatamente, come richiama questo spazio, sarebbe bello poter avere risposta a qualche domanda che sorge spontanea:
Come introdurre l’IA senza dispositivi? Ma soprattutto, come garantire a tutte le studentesse e gli studenti che frequentano scuole diverse, non tutte attrezzate per poter avere dispositivi propri, parità di accesso all’opportunità di essere adeguatamente formati all’uso sicuro e consapevole dell’IA?
Come costruire la tanto necessaria educazione al digitale se si introducono divieti che non consentono più alla comunità educante scolastica di proporre attività con strumenti digitali? Non staremo forse perdendo l’opportunità di mostrare a ragazze, ragazzi, bambine e bambini spesso lasciati soli davanti ai dispositivi come usare al meglio uno strumento che hanno in tasca?
Il sogno di una scuola del digitale consapevole
Se è possibile sognare ancora qualcosa, si potrebbe sognare una scuola che abbracci la tecnologia senza temerla. Che coinvolga le persone, ne stimoli la curiosità, apra le menti, costruisca relazioni (anche attraverso lo smartphone, visto che fa parte delle nostre vite).
Una scuola che riprenda, come leggevo tempo fa in questa riflessione, gli insegnamenti di un filosofo ed educatore come John Dewey e di un musicista come Carl Orff, entrambi sostenitori di una conoscenza che nasce dal fare, dal corpo, dal ritmo, dal gioco. Tanto che la scuola musicale di Orff non cominciava dal pentagramma, ma dal battito di mani per poi arrivare allo studio della musica. Perché si impara davvero solo quando si è coinvolti pienamente, mente, mani, cuore. E se lo smartphone potesse rappresentare uno strumento utile per fare tutto questo, perché vietarlo?




Articolo molti interessante e che apre, o dovrebbe farlo, a riflessioni interne alla scuola (come istituzione e luogo di lavoro degli studenti ed insegnanti), a casa (noi genitori siamo, per certi versi, vittime fra l’incudine e il martello, fra restrizioni e voglia di una scuola più moderna per i nostri figli). Un dibattito sarebbe tre auspicabile fra diversi attori della cultura, scienza, politica e società. Ma la vedo dura… sarà un continuo applicare regole su regole fino a contraddirsi fra loro, aggiungendo caos su caos
Grazie Sonia per aver condiviso questa riflessione lucida e coraggiosa.
Il tuo contributo mette in luce con equilibrio e profondità una questione cruciale: il rapporto tra divieto e opportunità nella scuola digitale.
Apprezzo in particolare la capacità di interrogare le politiche educative non solo con dati, ma con domande aperte e visione pedagogica.
Il tuo richiamo a Dewey (di cui mi ricordo una frase tipo "L’educazione non è preparazione alla vita; l’educazione è la vita stessa") e Orff è prezioso:
ci ricorda che l’apprendimento autentico nasce dal coinvolgimento attivo, non dalla mera restrizione.
Buona domenica! Aldo