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Avatar di Aldo

Buongiorno Professor Alfonso,

ho letto con profonda partecipazione il suo scritto sul tempo, e mi ha toccato nel profondo.

Concordo pienamente con la sua riflessione, in particolare con quel senso di accelerazione che il tempo sembra assumere man mano che gli anni avanzano.

È una percezione che condivido intimamente, e che mi ha fatto riflettere ancora di più dopo aver attraversato una grave malattia.

Riacquistare una temporanea buona salute, dopo aver temuto di perderla del tutto, cambia radicalmente il modo in cui si vive il tempo.

Ogni giorno diventa un dono, ogni ora un’opportunità da non sprecare.

È come se il tempo, pur continuando a scorrere, rallentasse nel cuore: lo si osserva con più attenzione, lo si ascolta, lo si vive con una gratitudine nuova. Si impara a cogliere l’attimo non per paura della fine, ma per amore della vita.

La sua analisi è lucida e struggente, e mi ha fatto pensare che forse il tempo non corre più veloce: siamo noi che, immersi in una densità di stimoli e responsabilità, perdiamo il ritmo naturale dell’esistenza.

Eppure, proprio come lei scrive, è possibile ritrovare quel ritmo, se ci si ferma, se si ascolta, se si sceglie con cura dove e con chi investire il proprio tempo.

La salute, quando vacilla e poi ritorna, ci insegna che il tempo è fragile quanto prezioso. E che viverlo bene non significa riempirlo, ma abitarlo con consapevolezza, con affetto, con presenza.

Grazie per aver condiviso il suo pensiero.

È un invito a vivere con più verità.

Con stima e affetto,

Aldo

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Avatar di Mauro Labate

Buongiorno Prof, anche a ‘soli’ 41 anni l’accelerazione è percepibile. Non mi sono ancora spiegato però se è dovuto alla consapevolezza che metà vita é spesa o se ha più a che fare con ciò di cui parla all’inizio, il costante overload di informazioni e impegni.

Sono appena tornato da un breve viaggio a Boston, e sul volo di lunedì mattina ho ripensato al mio primo viaggio in US di 15 anni fa. Era un volo AA, in classe economica, avevo un iPhone 3GS con me su cui potevo ascoltare qualche canzone e un portatile Lenovo con la batteria che durava 1 ora. Avevo lavorato fino a che la batteria aveva retto su una presentazione che mi sarebbe servita all’arrivo e avevo ascoltato un disco dei Dream Theatre per circa 50 minuti sull’iPhone; poi mi ero messo a pensare per diverse ore al discorso che avrei fatto al potenziale cliente che avrei incontrato il giorno dopo. Arrivato al JFK ci vollero 3 ore per l’immigrazione e solo dopo essere giunto in albero avevo appreso delle informazioni importanti dal mio capo da Zurigo. 16-17 ore door to door, quasi tutto tempo “perso”, ma davvero era “perso”?

Il volo Delta di lunedì scorso aveva la Wi-Fi per tutta la tratta, ho usato teams per diverse ore, risposto a decine di email, ho contattato 5 clienti, chiarito dubbi a 3 dei miei team, non mi sono “annoiato” nemmeno 1 minuto e non ho avuto la sensazione di aver “perso” il tempo di viaggio. Però quando sono andato a dormire in hotel lunedì sera, avevo un tale rumore in testa che non riuscivo a pensare a un discorso coerente per la presentazione del giorno dopo. Mi sono chiesto quando preparavo le presentazioni in passato, come facevo a trovare il tempo per ideare un discorso efficace e ho ripensato a tutti i momenti vuoti, l’attesa in coda, guidare nel traffico, un viaggio in treno o in aereo, erano tutte occasioni in cui si poteva riflettere. Oggi siamo collegati 24/7 alle nostre attività, non ci fermiamo mai, se lo scorrere del tempo accelera con la quantità di interazioni, siamo ormai siamo prossimi alla velocità della luce.

Nonostante la sensazione sia quella di essere stato più efficiente oggi che in passato, continuo ad avere il dubbio che questa iper-attività non sia necessariamente più efficace. Vorrei tanto riscoprire la noia.

Buona Domenica!

Mauro

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