L'accelerazione del tempo
Invecchiando, il tempo accelera, i momenti della vita scorrono più veloci, segno di maturità e di una crescente consapevolezza della temporaneità della nostra esistenza.
Lo scorrere inesorabile del tempo è un tema che sento sempre più vivo. Ne avevo già scritto in passato, ma mi preme riprenderlo e riproporlo. Forse perché più avanzo negli anni, più sento che il tempo accelera, la vita scorre via sempre più velocemente.
Ai tempi del liceo, un anno scolastico sembrava non finisse mai. Il tempo scorreva lentamente. Il passaggio da una classe alla successiva era un evento epocale che marcava in modo significativo e profondo la mia esperienza di vita.
Con il passare degli anni – e specialmente in questo ultimo periodo – sento il tempo scorrere senza che quasi me ne accorga. È più di un anno che ho lasciato Cefriel e lavoro in Ferrari: sembra ieri. Arrivo a Maranello il lunedì mattina verso le 8 e “improvvisamente” mi ritrovo a vivere il venerdì sera sulla strada di casa. È una sensazione stranissima che mi mette molta ansia. Sento che il tempo mi sfugge senza che io riesca a controllarlo e, soprattutto, a viverlo in pienezza, cogliendo ogni occasione che i minuti e le ore della giornata mi offrono.
Probabilmente, qualche sociologo o psicologo potrà spiegare che si tratta di un fenomeno fisiologico legato all’invecchiamento e alla maturità. Ma questo non mi consola molto: vedo la vita che scorre e ho la sensazione di non controllarla, di subire un flusso sempre più veloce che mi domina e travolge.
Due fattori potrebbero essere rilevanti in questa dinamica:
In primo luogo, faccio un lavoro che mi piace con persone con cui mi trovo bene. Ho la fortuna di non vivere al momento problemi economici o di salute. Per cui le ore, le settimane, i mesi scorrono in modo sostanzialmente sereno, nonostante le complessità e le sfide che ogni giorno inevitabilmente si presentano.
In secondo luogo, la mia (nostra!) vita oggi è molto più “densa” di prima. Quando ero giovane, il tempo era occupato dalla scuola, dalla vita dell’oratorio e dalle vacanze estive. Feci il mio primo viaggio in aereo a 24 anni. Andai all’estero per la prima volta quando avevo 26 anni. Non avevo computer, smartphone, Internet e social network. Non avevo la macchina. La televisione (quando finalmente potemmo comprarla) si riduceva a due canali RAI. Il mondo conosciuto era costituito dal mio quartiere, dalla città e da ciò che trapelava dal telegiornale o dai quotidiani. Il ritmo con il quale vedevo svolgersi i fatti era quello delle giornate, delle settimane e dei mesi. Il tempo scorreva più lento perché avevo meno occasioni per occuparlo, saturarlo con informazioni, eventi, notizie, fatti. “Passare il tempo” era molto più semplice e, al tempo stesso, difficile perché le occasioni erano poche ed essenziali. Oggi ogni giornata è un turbinio di momenti, viaggi, messaggi, impegni. I fatti e le notizie ci raggiungono da tutto il mondo in pochi secondi. Viviamo una realtà planetaria in tempo reale. La nostra vita è molto più ricca di eventi che una volta non esistevano o che avevano dinamiche molto più diradate e “allungate”.
E poi l’età. Come dice bene un mio collega, se metto la mia età su un metro collocandola proporzionalmente all’attesa di vita, “vedo” che il più è passato. Anche il fisico, ovviamente, non risponde più come una volta. È vero peraltro che l’età e ciò che chiamiamo esperienza porta ad una capacità di analisi e di valutazione che non avevo qualche decennio fa. Ma il tempo scorre, inesorabile. Lo percepisco, lo vivo. E lo sento accelerare, andare sempre più veloce, inarrestabile.
Ecco perché non tollero più sprecare il mio tempo, investirlo in attività inutili o sbagliate. Mi ritrovo pienamente in quel che disse Steve Jobs sul valore del tempo e il suo ruolo come agente del cambiamento:
Remembering that I’ll be dead soon is the most important tool I’ve ever encountered to help me make the big choices in life. Because almost everything, all external expectations, all pride, all fear of embarrassment or failure—these things just fall away in the face of death, leaving only what is truly important. Remembering that you are going to die is the best way I know to avoid the trap of thinking you have something to lose. You are already naked. There is no reason not to follow your heart.
E ancora:
No one wants to die. Even people who want to go to heaven don’t want to die to get there. And yet, death is the destination we all share. No one has ever escaped it. And that is as it should be, because death is very likely the single best invention of life. It’s life’s change agent. It clears out the old to make way for the new.
Right now, the new is you. But someday, not too long from now, you will gradually become the old and be cleared away. Sorry to be so dramatic, but it’s quite true.
In questo momento ciò che più mi angoscia e fa arrabbiare è sprecare l’unica risorsa che nessuno potrà mai più in alcun modo ridarmi: il tempo. Lo vedo scorrere e correre via sempre più veloce. Ho l’impressione di non riuscire a “spenderlo bene”. Mai come oggi sento vivo e vero quanto Robin Williams ne L’attimo fuggente dice nei panni del Professor John Keating:
“Cogli l’attimo, cogli la rosa quand’è il momento”. Perché il poeta usa questi versi? [...] Perché siamo cibo per i vermi, ragazzi. Perché, strano a dirsi, ognuno di noi in questa stanza un giorno smetterà di respirare: diventerà freddo e morirà. Adesso avvicinatevi tutti, e guardate questi visi del passato: li avrete visti mille volte, ma non credo che li abbiate mai guardati. Non sono molto diversi da voi, vero? Stesso taglio di capelli... pieni di ormoni come voi... e invincibili, come vi sentite voi... Il mondo è la loro ostrica, pensano di esser destinati a grandi cose come molti di voi. I loro occhi sono pieni di speranza: proprio come i vostri. Avranno atteso finché non è stato troppo tardi per realizzare almeno un briciolo del loro potenziale? Perché vedete, questi ragazzi ora sono concime per i fiori. Ma se ascoltate con attenzione li sentirete bisbigliare il loro monito. Coraggio, accostatevi! Ascoltate! Sentite? “Carpe”, “Carpe diem”, “Cogliete l’attimo, ragazzi”, “Rendete straordinaria la vostra vita”!
Buongiorno Professor Alfonso,
ho letto con profonda partecipazione il suo scritto sul tempo, e mi ha toccato nel profondo.
Concordo pienamente con la sua riflessione, in particolare con quel senso di accelerazione che il tempo sembra assumere man mano che gli anni avanzano.
È una percezione che condivido intimamente, e che mi ha fatto riflettere ancora di più dopo aver attraversato una grave malattia.
Riacquistare una temporanea buona salute, dopo aver temuto di perderla del tutto, cambia radicalmente il modo in cui si vive il tempo.
Ogni giorno diventa un dono, ogni ora un’opportunità da non sprecare.
È come se il tempo, pur continuando a scorrere, rallentasse nel cuore: lo si osserva con più attenzione, lo si ascolta, lo si vive con una gratitudine nuova. Si impara a cogliere l’attimo non per paura della fine, ma per amore della vita.
La sua analisi è lucida e struggente, e mi ha fatto pensare che forse il tempo non corre più veloce: siamo noi che, immersi in una densità di stimoli e responsabilità, perdiamo il ritmo naturale dell’esistenza.
Eppure, proprio come lei scrive, è possibile ritrovare quel ritmo, se ci si ferma, se si ascolta, se si sceglie con cura dove e con chi investire il proprio tempo.
La salute, quando vacilla e poi ritorna, ci insegna che il tempo è fragile quanto prezioso. E che viverlo bene non significa riempirlo, ma abitarlo con consapevolezza, con affetto, con presenza.
Grazie per aver condiviso il suo pensiero.
È un invito a vivere con più verità.
Con stima e affetto,
Aldo
Buongiorno Prof, anche a ‘soli’ 41 anni l’accelerazione è percepibile. Non mi sono ancora spiegato però se è dovuto alla consapevolezza che metà vita é spesa o se ha più a che fare con ciò di cui parla all’inizio, il costante overload di informazioni e impegni.
Sono appena tornato da un breve viaggio a Boston, e sul volo di lunedì mattina ho ripensato al mio primo viaggio in US di 15 anni fa. Era un volo AA, in classe economica, avevo un iPhone 3GS con me su cui potevo ascoltare qualche canzone e un portatile Lenovo con la batteria che durava 1 ora. Avevo lavorato fino a che la batteria aveva retto su una presentazione che mi sarebbe servita all’arrivo e avevo ascoltato un disco dei Dream Theatre per circa 50 minuti sull’iPhone; poi mi ero messo a pensare per diverse ore al discorso che avrei fatto al potenziale cliente che avrei incontrato il giorno dopo. Arrivato al JFK ci vollero 3 ore per l’immigrazione e solo dopo essere giunto in albero avevo appreso delle informazioni importanti dal mio capo da Zurigo. 16-17 ore door to door, quasi tutto tempo “perso”, ma davvero era “perso”?
Il volo Delta di lunedì scorso aveva la Wi-Fi per tutta la tratta, ho usato teams per diverse ore, risposto a decine di email, ho contattato 5 clienti, chiarito dubbi a 3 dei miei team, non mi sono “annoiato” nemmeno 1 minuto e non ho avuto la sensazione di aver “perso” il tempo di viaggio. Però quando sono andato a dormire in hotel lunedì sera, avevo un tale rumore in testa che non riuscivo a pensare a un discorso coerente per la presentazione del giorno dopo. Mi sono chiesto quando preparavo le presentazioni in passato, come facevo a trovare il tempo per ideare un discorso efficace e ho ripensato a tutti i momenti vuoti, l’attesa in coda, guidare nel traffico, un viaggio in treno o in aereo, erano tutte occasioni in cui si poteva riflettere. Oggi siamo collegati 24/7 alle nostre attività, non ci fermiamo mai, se lo scorrere del tempo accelera con la quantità di interazioni, siamo ormai siamo prossimi alla velocità della luce.
Nonostante la sensazione sia quella di essere stato più efficiente oggi che in passato, continuo ad avere il dubbio che questa iper-attività non sia necessariamente più efficace. Vorrei tanto riscoprire la noia.
Buona Domenica!
Mauro